Da ben 90 anni l’economia statunitense traina il mondo. Stando a questo dato viene da chiedersi come abbiano fatto gli USA a divenire il primo PIL del pianeta, il quarto per abitanti. La risposta va ricercata innanzitutto nel forte consumismo presente all’interno dei paesi che ne fanno parte: la crescita è alta e l’economia gira grazie alla spesa delle famiglie (i 2/3 del PIL, infatti, dipendono dai consumi familiari).
L’alto livello di sviluppo raggiunto è strettamente legato alle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione, all’assenza di corporazioni che ha aperto le porte alle liberalizzazioni e alla straordinaria capacità di lavoro dei cittadini.
Ma un passato tanto fulgido sembra stia per cedere il passo ad una contrazione dell’attività economica: gli esperti ipotizzano che nel 2008 l’economia statunitense subirà una brusca frenata.
Le ragioni di tale inversione di tendenza vanno ricercate in più eventi: il crollo della borsa americana tra il 2000 e il 2002 (periodo in cui l’indice NASDAQ è precipitato da 5.400 a 1.300 punti per via delle speculazioni degli anni ’90 intorno alle Dot-com, società di servizi informatici), l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 (l’unico attacco subito dagli USA all’interno del loro territorio, se si eccettua la distruzione della base marina di Pearl Harbor) e, più recentemente, la crisi dei mutui, che ha avuto pesanti ripercussioni su tutte le borse e i sistemi bancari mondiali.
A ciò si aggiunga che la produttività e la prosperità degli USA da record nascondono un’altra faccia della medaglia: quella degli oltre 35 milioni di persone (il 12,1% della popolazione) che nel 2006 hanno sofferto la fame, quella dei 12 milioni di clandestini e degli squilibri sociali. A pagare il conto delle sempre crescenti disuguaglianze è la classe media. Basti pensare che se nel 1980 lo stipendio di un manager era 40 volte superiore a quello del dipendente standard, nel 2002 tale divario ha raggiunto quota 435.
Un’altra grossa falla nel sistema americano va ricercata nell’assistenza sanitaria pubblica, che copre il 20% degli americani con Medicare (over 65) e Medicade (poverissimi). Su una popolazione di 302 milioni di abitanti, 47 milioni, ovvero un terzo dei lavoratori al di sotto dei 65 anni, non hanno assistenza. Attualmente la spesa sanitaria è pari al 16% del PIL e, se non fosse per lo strapotere delle case farmaceutiche e delle assicurazioni che bloccano le riforme, si riuscirebbe sicuramente a garantire un servizio di gran lunga migliore.
La ciliegina sulla torta è data da un’agghiacciante verità: il presidente Bush ha posto il veto per l’assistenza a 4 milioni di bambini poveri che, nel 2007, sarebbe ammontata a 7 miliardi… bazzecole per un paese che spende ogni mese 10 miliardi per la guerra in Iraq e in Afghanistan!
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