Altra crescita record per la Cina nel 2007. La nuova potenza economica deve gran parte della sua fortuna all’apertura nei confronti del mercato globale (con l’ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio alla fine del 2001). Le cifre che la interessano parlano chiaro: primo esportatore al mondo di prodotti high tech, seconda destinazione (dopo gli Stati Uniti) dei capitali mondiali, terzo PIL al mondo e terzo paese per investimenti in ricerca e sviluppo (dopo USA e Giappone). E ancora: conta su cento milioni di potenziali turisti, esporta in America programmi e didattica, incorona d’alloro le teste di più di quattro milioni di studenti universitari ogni anno.
Le economie dei paesi occidentali subiscono lo smacco dell’ingresso dei prodotti made in China all’interno dei loro mercati, mentre i consumatori ringraziano il gigante giallo di aver esportato disinflazione, fornendo una gamma infinita di prodotti a basso costo e costringendo i produttori occidentali a ridurre i prezzi.
La Cina, però, non è solamente una nazione ricca di risorse naturali, il secondo produttore al mondo di auto e camion, il paese che conta 200 milioni di redditi medio-alti, in cui 70 milioni di abitanti viaggiano on line sui propri pc, 200 milioni dispongono di tv via cavo e cellulari e si laureano 1.5000.000 ingegneri l’anno. Sull’altro piatto della bilancia occorre, infatti, mettere tante drammatiche realtà: soltanto poco più del 10% del suo territorio può essere coltivato, il clima prevalentemente monsonico determina la carenza di acqua, su un terzo del territorio cadono piogge acide, ogni anno muoiono per lo smog 750 mila persone, dieci delle città più inquinate del mondo sono cinesi e viene imposto l’aborto selettivo.
Per comprendere meglio le contraddizioni di questo colosso bastano pochi dati: il 17% dei cinesi è poverissimo (vive cioè con meno di 1 dollaro al giorno), 318 milioni vivono con meno di 2 dollari al giorno, 28 milioni sono disoccupati e non percepiscono alcuna forma di denaro dal governo di Pechino, 800 milioni non hanno diritto alla pensione e il numero di cinesi che emigrano è talmente elevato che la loro è considerata la più grande diaspora al mondo.
Ma quale sarà il destino di un paese (caratterizzato da tali contraddizioni) i cui ritmi di crescita si attestano al limite del potenziale della produzione e la cui economia è sostenuta esclusivamente dagli investimenti esteri?
Per vincere la sfida di rivestire il ruolo di nuova potenza egemone mondiale la Cina deve porsi importanti obiettivi, primi fra tutti il sostegno dei consumi privati interni e l’imposizione di un ritmo di crescita sostenibile, sia dal punto di vista umano che da quello ambientale.
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