La globalizzazione, il leitmotiv dell’epoca che stiamo vivendo, permea di sé l’intero panorama attuale: dalla politica all’economia, dalla produzione ai commerci, agli scambi. Una grande eco che rimbalza da un angolo all’altro del cosmo e che sta rapidamente modificando consuetudini, metodi produttivi, relazioni internazionali. Quelli che un tempo potevano essere i problemi interni di uno stato o di una regione oltrepassano oggi confini geografici e politici. Ciò determina una serie di reazioni a catena, spesso destabilizzanti soprattutto a livello finanziario, difficili da arrestare.
Un impulso determinante a tale processo va ricercato nelle nuove scoperte tecnologiche e nel miglioramento dei trasporti.
I mercati finanziari sono più ravvicinati, il fenomeno dell’outsourcing (delocalizzazione dell’attività produttiva) interessa un numero sempre crescente di aziende, le culture e gli stili di vita di regioni distanti fra loro si sovrappongono: ecco il volto attuale della globalizzazione. Ma nel momento stesso in cui si corre il rischio di associare sempre più il termine globalizzazione a quello di omologazione, ecco emergere una nuova controtendenza, figlia della stessa globalizzazione, ma dal punto focale opposto: la rivalutazione del “local”. Grazie alle recenti applicazioni che il computer e l’informatica hanno avuto nel campo dell’informazione e della comunicazione è oggi possibile sottoporre all’attenzione mondiale questioni che, senza il massiccio utilizzo della rete Internet, sarebbero rimaste isolate. Tutto ciò determina la nascita di forme di aggregazione che coinvolgono persone o regioni fisicamente distanti ma accomunate dagli stessi problemi o dalle stesse caratteristiche.
A fronte di tale progresso e sviluppo, sta però divenendo sempre più netta la linea di demarcazione fra paesi ricchi e paesi poveri. Oggi non è più sufficiente mettere in atto una politica di assistenza e di aiuto nei confronti di quelli che vengono considerati i paesi in via di sviluppo. Non basta dotarli dei nuovi ritrovati informatici perché possano imboccare la strada che conduce al benessere, ma occorre investire sul capitale umano, dando avvio a processi di informazione e di educazione.
La globalizzazione porta oggi il mondo a parlare un’unica lingua, fatta di problemi comuni alla maggior parte dei paesi. Ed è proprio l’universalità delle questioni da risolvere che ci indica la strada da battere: occorre sensibilizzare tutti i popoli ai temi che occupano un ruolo primario all’interno dell’agenda globale: inquinamento, democrazia, pace.
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