Per via di una serie di problemi che ci trasciniamo dietro da anni, l’Italia rappresenta l’ultima ruota del carro trainato dall’Unione Europea. Che fare? Abbattere il debito, ridurre la pressione fiscale, diminuire e qualificare la spesa pubblica (allineando la spesa primaria a quella dell’Unione Europea)?
Il Commissario Europeo Almunia è preoccupato della debolezza del prodotto interno lordo italiano e del livello del debito pubblico. A ciò si aggiunga che le aspettative sulla crescita 2008 previste in primavera si attestavano al +1,7%, ma in autunno sono diminuite fino al +1,4%. Tale panorama mette in luce una drammatica verità: la crescita italiana prevista per l’anno venturo sarà la più bassa di tutta la zona euro e tra le più basse di tutta l’Unione Europea.
Per poter dare avvio ad un reale periodo di crescita occorrerebbe avviare un’azione ramificata all’interno del nostro sistema economico: ridurre il deficit, puntare sui consumi interni, migliorare il sistema assistenziale e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni, riformare le relazioni industriali a livello contrattuale, rilanciare i consumi, investire nell’istruzione, riformare scuola e università.
Ma prima di concentrarsi sui provvedimenti da prendere al fine di permettere alla nostra economia di risollevarsi, occorre focalizzare l’attenzione sulle cause che hanno determinato la situazione in cui versiamo oggi. Evasione fiscale, ritardo del S
ud, carenze nel sistema istruzione-formazione, scarsa competitività, pochi investimenti in ricerca e sviluppo, pesante cuneo fiscale: queste, purtroppo, le caratteristiche del nostro sistema economico. E in più occorrre rammentare che siamo il solo paese dell’Unione Europea che debba destinare il 5% del PIL al servizio del debito: ciò significa che ogni anno spendiamo 70 miliardi solamente per pagare gli interessi.
Ma da cosa dipende tutto ciò? Probabilmente la risposta andrebbe ricercata all’interno dei problemi strutturali che affliggono l’Italia. Le riforme strutturali sono estremamente importanti per consentire di migliorare la possibilità di procedere con la crescita. Fra il 1986 e il 2002 abbiamo assistito al succedersi di 32 riforme, le quali hanno modificato solo marginalmente il funzionamento dei sistemi di welfare, non intervenendo a livello strutturale.
Credo che la chiave di volta della questione stia proprio qui: occorre lavorare per migliorare il sistema partendo dalla sua base. Il primo investimento da fare dovrebbe essere quello di puntare sul capitale umano. Istruire, istruire, istruire. Conseguentemente offrire la possibilità reale di poter mettere il proprio sapere al servizio della nazione stessa, e dare così un brusco arresto al cosiddetto fenomeno della “fuga dei cervelli”. Dobbiamo prestare maggiore attenzione alle nostre potenzialità!
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